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Blending Art, contaminazioni


Il mio lavoro di ricerca, fin dall’Accademia, parte dal convincimento che nella pittura nulla è ormai da inventare o quasi.
E` persino ingenuo pensare di inseguire “La Modernità”, almeno quella che vive nel presupposto di perseguire la tradizione da infrangere, ossia una nuova provocazione. Dopo Duchamp, con i baffi alla Gioconda, e i tagli di Fontana sulla tela, tutto è ormai velleitario.
Il passato, nel “nuovo” torna sempre; ritengo quindi che la spinta, la tensione dell’artista non dove essere nella spasmodica ricerca del “nuovo”, ma nel riciclaggio di poetiche nate e mai portate al loro esaurimento, perché la logica del consumismo brucia tutto, anche l’arte, con la sua smania del rinnovamento (dei prodotti) a tutti i costi, per poi negare, all’artista, la creatività in nome della logica del profitto che vuole: “prodotto che vende non si cambia”. Al concetto di sviluppo lineare, mi piaceva, e mi piace utilizzare, quello di NOMADISMO, che lungo le piste dell’arte tutto riconduce allo stesso punto. Dunque non un atteggiamento che guarda con nostalgia al passato, ma al presente, con la consapevolezza di una storia, semplicemente imprescindibile. L’artista, colto e vagabondo, alla ricerca di nuove armonie e contaminazioni; i cultori della musica direbbero, FUSION; a me piace dire: BLENDING, Blending Art, percorsi intersecanti la storia e i linguaggi dell’arte.
Tutto il contrario del concetto di coerenza spesso rivendicato ma utile soltanto alla facile classificazione: così l’unica coerenza possibile che riscontro è quella con se stessi, con la propria storia e cultura.
Altro pensiero fondante è quello legato agli strumenti dell’arte.
Non mi sono mai sentito legato ai pennelli e ai colori… quello che muove la mia voglia di ricerca, è la curiosità, la sperimentazione visiva… già, appunto, la percezione visiva. Mi esprimo al meglio quando di mezzo c’è l’occhio, è stata una non scelta, è stato così e basta. Poteva essere la musica, la scrittura… ma così non è stato, quindi, quando penso, quando progetto, lo faccio pensando che sarà fruibile con gli occhi… e ogni progetto, avrà il suo strumento: i pennelli, la macchina fotografica, la materia, e oggi il computer, tutti sorretti da una tensione verso la sperimentazione – mai fine a se stessa – dove l’esperienza del fare lascia all’intuizione e al metodo nuove armonizzazioni, per l’appunto, BLENDING, “Blending Art”.
Volevo tornare a sporcarmi le mani, non in senso metaforico ma reale, soprattutto ora che utilizzo il computer, massima tecnologia, che comprende la ripresa fotografia e la sua elaborazione. Neanche più l’odore tipico del laboratorio di sviluppo colore. Il mio non è sentimentalismo, anzi, non mi pongo il problema, adoro la tecnologia e la uso, tutta. Credo di avere la consapevolezza della sua funzione, e mi infastidisce solo l’abuso sciocco e appariscente; odio gli effetti speciali che non aggiungono nulla, gli effetti che servono a far dire: “guarda come ti stupisco il mondo”, al punto che quando la tragedia si manifesta in tutto il suo orrore, “11 settembre 2001”, sembra di vedere un film, con il solco che separa la realtà dalla finzione, ormai del tutto scomparso, cancellato.
Anche quando uso il mezzo fotografico, opero in modo che il fruitore respiri manualità, nel senso che deve sentire che dall’altra parte c’è un uomo, con la testa e soprattutto con un cuore… e, che “miracolo”, riesce ancora a pensare.
Un’ultima cosa sull’omologazione… Sarò forse l’ultimo dei romantici, ma essere un artista, forse il più piccolo degli artisti, ma artista, è il modo per rivendicare la mia non omologabilità, e, di questi tempi… non credo sia poco.
di Corinto Marianelli