Il Treno di Cage 2008

Le immagini



Storie a confronto: 1978/2008


30° anniversario del treno di John Cage, “Alla ricerca del silenzio perduto”

La prima performance era prevista alla stazione di Sasso Marconi e il treno, più silenzioso di quello di 30 anni prima, procedeva sulla linea che congiunge due punti, con discrezione – sempre che un treno possa essere discreto – quasi fosse consapevole del carico che trasportava, certo era allegro, nulla a che vedere con l’anonima massa di pendolari che ogni giorno smadonnano per i disservizi delle ferrovie, ma si aspettava qualcosa di più, di diverso. Un altro treno, suo lontano parente – pace all’anima sua – non faceva altro che favoleggiare di un evento del quale si era continuato a parlare per anni, e in Lui, degno figlio meccanico del nuovo millennio, era affiorata una certa delusione; il suo carico umano, contrariamente alle sue aspettative, lo sentiva soltanto come spettatore, incapace di assumere quel ruolo di co-protagonista che nel 1978, appunto trenta anni prima, per scelta di progetto – l’interattività nel treno di John Cage – che per vocazione generazionale, era stato l’imprimatur di un evento epocale… di quelli capaci di assurgere a ruolo di spartiacque, un prima e un dopo. Per me è stato così.
Ma torniamo al treno del 2008 che stava raccontando di come si sentiva contento che fosse capitato proprio a Lui di ereditare l’opportunità di vivere tracce di quei racconti fantastici – il 30° anniversario della performance, “Alla ricerca del silenzio perduto”, che John Cage, in collaborazione con il Teatro Comunale di Bologna e con le Ferrovie dello Stato, aveva realizzato nel 1978 – ma anche della delusione, forse dovuta alle tante aspettative, per una sorta di rassegnata compostezza che arrivava a lambire la depressione.
Lungo il binario dal quale sarebbe partito il treno, ora prevista le 14.30, si era radunata una folla serena e gioiosa formata da giovani e nostalgici reduci della versione originale, quelli che potevano dire: io c’ero. Mescolati tra gli “spettatori”, i musicisti con i loro strumenti, arrivavano alla spicciolata mentre l’attesa per la partenza del treno era rallegrata dall’esibizione della Banda Roncati letteralmente accerchiati da una una tribù di “Apache” armati di macchine fotografiche o videocamere, non soltanto da professionisti della comunicazione, ma anche e soprattutto da inconsapevoli guastatori di immagini armati di una compattina senza disdegnare ovvimente gli onnipresenti telefonini. Era impossibile fare una fotografia senza che nell’inquadratura non ci fosse un… che, noncurante di chi sta lavorando, si togliesse di mezzo. Neanche fossero loro i protagonisti dell’evento. Per me una situazione imbarazzante e deprimente.
Finalmente si parte, con un leggero ritardo, ma si parte, tutti seduti – un altro elemento di differenziazione – compostissimi, ognuno al proprio posto, e il mio era accanto ai Masotti, con i quali ci eravamo finalmente incontrati. Sia loro, Silvia e Roberto che io, avevamo una personale al Museo d’Arte Moderna di Bologna dove era stata allestita una mostra iconografica con il materiale del 1978.
Dunque, Silvia, Roberto ed io eravamo in un vagone, mentre Oderzo Rubini, l’ideatore e organizzatore della rievocazione, come padrone di casa era in giro a “socializzare”. Con Roberto Masotti nel breve tragitto per la stazione di Sasso Marconi, dove si sarebbe esibito al pianoforte Marco Dalpane, ci siamo scambiati le prime precoci riflessioni. Da parte mia ho manifestato il fastidio per l’invadenza dei fotocineoperatori, impressione confermata a Sasso Marconi dove intorno a Dalpane, in primo piano, si vedevano soltanto strumenti di ripresa. La voglia di continuare a fotografare in quelle condizioni mi stava rapidamente abbandonando, e dire che l’entusiasmo che avevo era altissimo, mettere a confronto 2 “epoche” mi solleticava, ma soprattutto, ero interessato al confronto con me stesso. Il Treno del ’78, è stato un momento fondamentale, è stato il lavoro attraverso il quale ho dovuto prendere atto che ero anche, e forse soprattutto, un fotografo e non più, come avevo fino a quel momento ritenuto, un pittore. Il reportage era il mio campo d’azione privilegiato. Negli anni successivi il mio interesse nella fotografia di ricerca si è spostato sempre più nei confini ristretti del “concettuale”, il Treno del 2008 era dunque l’occasione per capire, attraverso il confronto, il cambiamento, l’evoluzione – o involuzione – il mio occhio fotografico.
Avevo preso la decisione di smettere di fotografare e di godermi l’evento da spettatore.
Certo la mia era una gran bella pretesa, cosa volevo, giocare da solo? Nel ’78 avevo in un certo qual modo un ruolo ufficiale per conto di Gianni Sassi, l’allora discografico di Cage, e mi muovevo sul “ridondante set” con una libertà che oggi non sentivo… tutti questi che stanno in mezzo… levatevi dalle palle con questi telefonini.
A questo gioco non gioco.
Ho passato qualche minuto a riflettere su questa cosa, ero incazzato perché intimamente non volevo lasciar perdere… poi ho pensato che se volevo evitare di fare un reportage sui fotografi che fotografano il 30° anniversario di Cage a Bologna, dovevo anticipare gli “altri”, dovevo muovermi più veloce, dovevo correre e ho cominciato a correre. Anticipando tutti ho potuto fare foto che nessun altro ha fatto… e poi il resto l’ha fatto il coraggio. E’ stata una bella prova, metafora dei tempi che corrono, se ti abbatti sei fregato, l’unica scelta possibile è darsi da fare e fare sempre meglio, anche se è oggettivamente difficile.
Sulla rievocazione avevo dei dubbi. Ripetere la performance senza Cage mi sembrava un nonsenso, invece debbo dire che il lavoro messo su da Oderso Rubini con la direzione di Alvin Curran è stata una bella esperienza e, in modo particolare alla stazione di Riola con la banda musicale e il coro Arcanto, davvero emozionante nella cornice della chiesa progettata da Alvar Aalto. A noi reduci la performance è sembrata riduttiva anche se tutto sommato interessante, mentre, agli occhi dei giovani, la musica di Cage e l’operazione tutta, è sembrata, con i tempi che corrono, stimolante e provocatoria… erano affascinati dall’evento e dai nostri racconti… e volevano saperne di più.
Se l’evento è servito a stimolare la curiosità, a spostare più in la l’orizzonte e l’amore per la sperimentazione, molto bene.
E che sia andata bene, ne ho avuto la conferma anche da “trenolino”, che senza che se ne accorgesse, l’ho sentito telefonare al deposito ferroviario e dire: tenetevi pronti, ho un sacco di cose da raccontarvi.

Corinto Marianelli