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usare quella vecchia macchina fotografica, priva di otturatore (sostituito con un barattolo), con al posto della lastra di vetro, un foglio di carta baritata alla maniera del primo FOX TALBOT, il vero inventore della fotografia così come la conosciamo. Daguerre, è stato il primo a fermare un’immagine su lastra di rame…

 



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Vitalità del negativo: l'unicum fotografico

VITALITÀ DEL NEGATIVO

di Corinto Marianelli

Questo progetto nasce dalla necessità di trovare una risposta alternativa all’uso di materiali che l’era digitale ha cancellato o reso difficili da trovare.
In un vecchio progetto, ho usato il banco ottico 10×12 cm. e il materiale Polaroid positivo/negativo per dare, attraverso il supporto analogico, un particolare “sapore” alle immagini.

Per questa nuova avventura fotografica ho deciso di utilizzare una vecchia macchina fotografica a lastre 18×24 cm di legno che fu di Parravicini di Persia, un pittore ottocentesco di indubbia qualità, che mi è stata regalata dalla figlia, una cara amica.

L’intuizione è stata quella di usare quella vecchia macchina fotografica, priva di otturatore (sostituito con un barattolo), con al posto della lastra di vetro, un foglio di carta baritata alla maniera del primo FOX TALBOT, il vero inventore della fotografia così come la conosciamo. Daguerre, è stato il primo a fermare un’immagine su lastra di rame con un complesso sviluppo ai vapori di mercurio che rendeva la foto un pezzo unico, ma è stato Talbot a sviluppare il concetto di matrice riproducibile. Dunque, il negativo è un foglio di carta 18×24 cm. che stampato per contatto su un altro foglio di uguale dimensione, restituisce un positivo.

La vera intuizione non è tanto l’uso della carta 18×24 alternativa alla pellicola, quanto l’idea di considerare il negativo parte integrate del lavoro insieme alla stampa positiva. Due stampe racchiuse nella stessa cornice in un gioco fatto di ribaltamenti, di riflessioni, senza soluzione di continuità, in una ambiguità visiva tra positivo e negativo che aggiungono alle fotografie, con la loro patina di antico, un approccio decisamente moderno e concettuale.
L’altra conseguenza di questa impostazione è una risposta alla riproducibilità tecnica che, come aveva ben evidenziato Walter Benjamin, nella nostra epoca toglie, in modo particolare alla fotografia, il valore aggiunto: l’unicum.

Dal momento che ho inteso considerare il negativo parte integrante del lavoro ne è scaturito come conseguenza l’impossibilità di altre “ristampe” rendendo di fatto il lavoro fotografico un pezzo unico. Naturalmente esiste, per ovvie esigenze di riproduzione, un file ricavato dalla scansione delle stampe, dal quale si possono ricavare stampe digitali, ma l’originale su carta baritata con trattamento Fine Art e viraggio finale all’Oro (in alcuni casi), resta e resterà unico.

La macchina fotografica oltre che “antica” non è di grande qualità ebanistiche così, le infiltrazione di luce, dovute dalle “rughe” del tempo, sono un male inevitabile ma al contempo si sono trasformate in segni distintivi, l’imprinting riconoscibile dei 2 chassis in mio possesso.
Se Roma è stato il punto di partenza, il passo successivo verso il tema della fotografia astratta e della natura morta, è stata l’evoluzione naturale, ampliando così l’espressione. A seguito di questa diversificazione ho chiamato, VITALITA’ DEL NEGATIVO, quanto realizzato con la tecnica talbotttiana, all’interno della quale vivono i diversi progetti di lavoro. Alla banalità del quotidiano fa riferimento la fotografia degli oggetti (nature morte) mentre, dalla manipolazione della materia e la sua scrittura con la luce, prende forma la fotografia “astratta”.