Note Biografiche

Il mio nome è Corinto Marianelli, e, Corinto, rarissimo nome proprio, mi è rimasto attaccato come un marchio di fabbrica. Sono nato a Roma, nel millenovecentoquarantanove, sotto il segno dell’Acquario.

Ho studiato Grafica Pubblicitaria all’Istituto d’Arte e, all’Accademia di Belle Arti, Scenografia. L’amore per la pittura mi segue da quando ero bambino, avevo undici anni quando per la prima volta, tentando di dipingere un cielo, ho appoggiato il pennello impastato di blu sulla tela. E` sul finire degli anni sessanta che è maturata l’idea di inserire nei miei quadri delle immagini fotografiche – erano gli anni dell’ Istituto d’Arte – ed ero affascinato dal movimento Dada, dall’anti-arte, dal gusto intelligente della provocazione, e Duchamp, Picabia, Arp, Tristan Tzara e il fotografo Man Ray erano i miei giovanili punti di riferimento, ma non solo, a tutta l’arte moderna e alle avanguardie fino ad arrivare alla Pop Art con Rauschenberg, devo un tributo profondo, perché hanno segnato non soltanto il mio lavoro e il mio rapporto con l’arte, ma la vita stessa.

Nel ’70, quando ho acquistato la prima macchina fotografica, una Nikkormat Ftn, di fotografia non avevo nessuna conoscenza, e del diaframma, ne avevo soltanto sentito parlare. Ma è stato amore a prima vista.
L’Arte, la Bauhaus, la Gestalt, la percezione visiva e la “Teoria del campo” di A. Marcolli, sono stati la mia Nutella; e su tutto questo, la fotografia entrava nei miei quadri come ancoraggio nella realtà e come primo livello di lettura nella complessità semantica di un’opera d’arte, per inseguire un problema, allora molto sentito, del coinvolgimento totale della società. La prepotenza, con la quale la fotografia è entrata nella mia vita, travolgendola, non lasciava dubbi su quello che il destino stava – ironia della sorte – “disegnando” per me.

  Ho insegnato Educazione Artistica nelle scuole medie inferiori, poi fotografia in corsi professionali della Regione Lazio, fino a quando, il richiamo per un’immersione totale in quella che ormai era diventata anche una professione, ha preso il sopravvento.

Un passo indietro. Mentre la fotografia mi rivelava i suoi segreti, ne scoprivo al contempo, le potenzialità economiche; gli amici pittori e i professori all’Accademia cominciarono a chiedermi di fotografare i loro quadri per i cataloghi delle mostre, e così, quasi senza rendermene conto ho cominciato a guadagnare dei soldi e, per uno studente di scenografia – diciamolo – non era affatto male. La Fotografia di Opere d’Arte è stata la prima specializzazione fotografica e da allora ho firmato centinaia di cataloghi, collaborato con le maggiori gallerie e lavorato con i più importanti artisti contemporanei.
Il Reportage, il raccontare per immagini – invece – è sempre rimasto nella sfera dell’espressione, della ricerca, e come dicevo sopra, era l’aggancio alla realtà, quella realtà che andava a fondersi nell’imprinting pittorico in una osmosi ” Tra pittura e fotografia” che era stata l’intuizione scatenante del tutto.

Il reportage, come quasi la totalità della mia fotografia di ricerca, era, ed è, rigorosamente in bianco e nero, che per la sua astrazione concettuale meglio si sposa con il mio lavoro. Alle mostre di pittura si affiancarono quelle di fotografia di reportage; “Casale Boccaleone: utopia 78”; “Il treno di Cage” esposto, nel ’93, alla Biennale di Venezia; “Week-end: un racconto”, che segna il passaggio – nei primi anni ottanta – da una concezione pubblica dell’arte, verso un atteggiamento più intimistico ma non per questo meno dirompente della creatività.

  A questo punto i giochi sono fatti e, Still-life, Fotografia Industriale e Ritratto sono le ulteriori specializzazioni con le quali mi sono cimentato, e oggi sono la parte più importante dell’attività dello studio. Con il Ritratto, che realizzo prevalentemente in studio, ho riscoperto e rivalutato l’uso di un’idea “teatrale dell’illuminazione” dove le ombre e le luci, più o meno principali, contribuiscono a creare una atmosfera impregnata di un forte sapore “artigianale” come nelle foto: “Gli specchi di Corinto” del 1993 dove il soggetto si rapporta con la propria immagine riflessa dallo specchio che ne rivela la vera essenza e siccome il lavoro risale ad una epoca pre computer, gli “effetti speciali” sono tutti realizzati in fase di ripresa.

E` però “Disarmonia”, lavoro del 1989, lo spartiacque che segna il definitivo abbandono della ricerca della bella fotografia per un approccio più concettuale, dove il provino fotografico, riscattato dall’ingrandimento, mostra non soltanto le foto riuscite ma anche gli errori, le incertezze… e non ultimo, in questo lavoro, viene meno o ridimensionato il punto di vista, non più affidato al fotografo, ma a un progetto che ne determina la spazialità nel quale si svolge la casualità dell’azione. La priorità del progetto e il  processo verso la sua rappresentazione  diventa centrale nella mia ricerca così come lo strumento “giusto” alla sua realizzazione: la macchina fotografica, i pennelli con i colori, i materiali e non ultimo il computer.

Calato totalmente in questa nuova dimensione altri lavori fanno seguito:”Amabile Rita”, “Radici”, “Amore, soldi e salute…”, fino a quando anche la pittura ritorna prepotentemente a manifestarsi insieme al desiderio di tornare a sporcarmi le mani in un mondo reso sempre più asettico dal digitale. Il concetto di sviluppo lineare mi piace sostituirlo con quello di Nomadismo, che lungo le piste dell’arte tutto riconduce allo stesso punto. Dunque non un atteggiamento che guarda con nostalgia al passato, ma al presente, con la consapevolezza di una storia, semplicemente imprescindibile. L’artista, colto e vagabondo, alla ricerca di nuove armonie e contaminazioni, percorsi intersecanti la storia e i linguaggi dell’arte che ho chiamato: Blending Art. Il colore, la materia, gli oggetti della memoria, letteralmente legati con dei cordini, impregnati di colore, che lasciano le tracce del fare e che a loro volta “trattengono” e creano delle linee di tensione, sono gli elementi visivi caratterizzanti questo lavoro.

Come definirmi e collocarmi non saprei – e non è un mio compito – ma pur riconoscendomi in una qualche misura nell’area del concettuale, la “maestria” che da qualità all’opera, è assolutamente irrinunciabile e l’esplicitazione della manualità è l’elemento attraverso il quale l’Arte mi fa sentire non omologabile.

Sulla linea tracciata altri progetti crescono: “Oltre lo scatto…”, “Vitalità del negativo”, e i ritratti di “Io sono, voce del verbo essere”.